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Strumenti retorici nella polemica politica: il caso Antonio Di Maio

Il ricorso, consapevole o no, agli strumenti retorici caratterizza qualsiasi polemica politica. È stato così anche in quella provocata da una condotta riprovevole di Antonio Di Maio. Era inevitabile che essa destasse un certo scalpore, in considerazione del prestigio di cui gode attualmente il figlio Luigi, a capo del Movimento 5 Stelle, ma soprattutto vicepremier del Consiglio, ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro.

La vicenda viene esposta nel programma televisivo Le iene del 25 novembre 2018. Un servizio è incentrato sull’intervista con un ex dipendente della ditta del signor Antonio. Salvatore Pizzo, detto “Sasà”, afferma: “La cosa che mi fa rabbia è il ministro del lavoro Luigi Di Maio, che ribadisce in piena campagna elettorale: ‘Vengo da una famiglia onestà, ‘vengo da una famiglia onestà. Lo venisse a dire in faccia a me che tutta questa onestà sulla mia pelle non l’ho notata”.

Non si può fare a meno di osservare immediatamente in tale rimostranza la presenza di un argomento (nel senso di prova portata a favore di una tesi, ragionamento fatto a sostegno di un’opinione): il caso invalidante o exemplum in contrarium, “che – per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – impedisce una generalizzazione indebita dimostrandone l’incompatibilità con quello e che indica dunque quale sia la sola direzione ammessa per la generalizzazione” (1).

L’argomentazione di Sasà conferma una tesi di Olivier Reboul: “In primo luogo esiste una retorica spontanea, un’attitudine a persuadere per mezzo della parola che forse non è innata – non entriamo qui in questa discussione – ma che non è dovuta nemmeno a una formazione specifica” (2).

Inoltre, in una prospettiva semiotica, contiene una sfida (“Lo venisse a dire in faccia a me”). Essa è, per Algirdas Julien Greimas, “una delle figure caratteristiche della manipolazione, può essere definita [...] come una ‘costrizione morale’ [...] un ‘incitare qualcuno a fare qualcosa’” (3).

Infine il raddoppiamento dell’asserzione attribuita all’uomo di governo (“Vengo da una famiglia onesta”) svolge la funzione di tecnica dell’insistenza, in quanto viene impiegato dall’emittente del messaggio per attirare o ravvivare l’attenzione del ricevente e nella fattispecie particolarmente per rafforzare, con un intento polemico, l’idea della ripetitività.

Nella prosecuzione della trasmissione affiorano i dettagli. Il giornalista, Filippo Roma, si chiede: “Ma perché Sasà è così arrabbiato e ce l’ha così tanto con l’onestà spesso richiamata da Luigi Di Maio?”.

E Salvatore Pizzo racconta: “Lavorando per il padre, facendomi male, nel soccorrermi, ha detto che non dovevo dire che mi avevo fatto male presso la sua azienda”.

L’intervistatore domanda: “Perché non doveva dirlo?”.

Ecco la risposta: “Perché lavoravo in nero, se no lui si cacciava nei guai seri”.

Successivamente si è parlato pure di illeciti urbanistici in terreni della famiglia Di Maio e di debiti fiscali. Ciò inesorabilmente ha suscitato numerose reazioni. Com’è facilmente comprensibile, spiccano i commenti di due esponenti del Partito democratico, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Essi subirono un duro attacco dagli avversari, forse sopratutto dai pentastellati, quando i loro padri, Tiziano e Pier Luigi, rimasero coinvolti in avvenimenti giudiziari, relativi rispettivamente alla Consip e a Banca Etruria.

Come ha ricordato Olivier Reboul, “secondo Aristotele, ci sono solo due tipi, e due soltanto, di strutture argomentative: l’esempio, che va dal particolare al generale, dal fatto alla regola, ed è dunque un’induzione; e l’entimema, che va dal generale al particolare, e che è dunque una deduzione” (4).

Nell’esordio del suo intervento (5), l’ex presidente del Consiglio ha utilizzato la prima: “Non m’interessa sapere se il padre di Di Maio abbia dato lavoro in nero, evaso le tasse, condonato gli abusi edilizi. Sono convinto che la presunta ‘onestà’ dei Cinque Stelle sia una grande FakeNews, una bufala come dimostrano tante vicende personali, dall’evasore Beppe Grillo in giù”.

Al di là di una esplicitamente indicata (quella dell’“evasore Beppe Grillo”), risultano facilmente intuibili varie occorrenze di tale ragionamento (“tante vicende personali”).

Andando avanti si legge: “Ma sono anche convinto che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli e questo lo dico da sempre, a differenza di Di Maio che se ne è accorto adesso”. Si riscontra un’allusione (ne parleremo in seguito) e una forma fondamentale di argomentazione, consistente nel “ricorrere a paragoni, nei quali diversi oggetti siano posti a confronto per essere valutati l’uno in rapporto all’altro” (6).

In politica avviene per lo più con un intento polemico: si evidenziano dei contrasti per mettere in cattiva luce gli antagonisti e per accreditare sé stessi.

Analogamente situazioni in antitesi fra loro ha evidenziato l’ex ministra, rivolgendosi in un video direttamente ad Antonio Di Maio:

“Lei, signor Di Maio, è sotto i riflettori per delle storie davvero brutte: lavoro nero, incidenti sul lavoro, sanatorie e condoni edilizi. Mio padre è stato tirato in mezzo ad una vicenda più grande di lui per il cognome che porta e trascinato nel fango dalla campagna creata da suo figlio e dagli amici di suo figlio”

“Io continuo a fare politica solo per la mia nipotina, perché possa sapere che la sua è una famiglia di persone per bene. Le auguro, signor Di Maio, di poter dire lo stesso della sua, anche se mi rendo conto che ogni giorno che passa per voi diventa più difficile” (7).

Come accennato, l’estratto dal commento dell’ex segretario del PD contiene una peculiare forma espressiva: in effetti si dice una cosa per farne intendere un’altra più profonda e nascosta, che non si vuole dichiarare apertamente e quindi si sottintende, ma comunque si evoca; nella fattispecie questa potrebbe essere la formulazione: il ministro dello sviluppo economico solo ora, nel momento in cui si trova in una simile condizione, si rende conto che non è giusto subire l’avversione degli elettori per le responsabilità del proprio genitore. Ne consegue, implicitamente, un’accusa d’incoerenza, fondata su un’incompatibilità, che “assomiglia ad una contraddizione, in quanto consiste in due asserzioni tra le quali bisogna scegliere, a meno di rinunciare ad entrambe” (8).

Perciò Renzi, impiegando perfino la sfida (nel significato semiotico ricordato in precedenza), ha concluso: “Se Di Maio vuole essere credibile nelle sue spiegazioni prima di tutto si scusi con mio padre e con le persone che ha contribuito a rovinare. Troverà il coraggio di farlo?”.

Nella classificazione delle figure retoriche, fatta da Perelman e Olbrechts-Tyteca, sulla base della loro funzione, l’allusione rientra fra quelle della comunione, “con le quali l’oratore si sforza di far partecipare attivamente l’uditorio alla sua esposizione, prendendolo a parte di essa, sollecitando il suo consenso, assimilandosi a lui” (9).

Inoltre viene inclusa fra le tecniche d’attenuazione, le quali “dànno un’impressione favorevole di ponderatezza, di sincerità e concorrono a distogliere dall’idea che l’argomentazione sia un espediente, un artificio” (10).

In aggiunta, nell’intervento dell’ex presidente del Consiglio si contano due occorrenze di accumulazione (o enumerazione o elencazione), il procedimento stilistico che consiste nella successione di parole o gruppi di parole o frasi, allo scopo di rendere più efficace il messaggio. Infatti favorisce la percezione ed è dunque possibile considerarla come una figura della presenza, avendo “per effetto di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (11). Una tale impressione di realtà viene rafforzata per mezzo di un vocabolo, che appartiene alla sfera sensoriale della vista (“rivedo”):

“Rivedo il fango gettato addosso a mio padre. Rivedo la sua vita distrutta dalla campagna d’odio dei 5 Stelle e della Lega. Rivedo mio padre che trova le scuse per non uscire di casa perché non vuole incrociare gli sguardi dopo che i media lo presentano come già colpevole. Rivedo mio padre sul letto d’ospedale dopo l’operazione al cuore. Rivedo mio padre che non si ferma all’Autogrill o resta in macchina per non essere riconosciuto. Rivedo mio padre preoccupato per cosa diranno a scuola i compagni di classe dei nipoti. Rivedo un uomo onesto schiacciato dall’aggressione social coordinata da professionisti del linciaggio mediatico”

“Hanno educato, stimolato e spronato a detestare chi provava sinceramente a fare qualcosa di utile. Hanno ucciso la civiltà del confronto. Hanno insegnato a odiare”.

È evidente l’utilizzazione pure dell’anafora, con la ripetizione di uno o più termini all’inizio di proposizioni o periodi successivi (nel primo caso semplicemente “rivedo” tre volte e “rivedo mio padre” quattro volte, nel secondo “hanno”).

Fin qui abbiamo preso in esame fattori del logos, lo strumento retorico di ordine razionale, che, per Olivier Reboul, è contraddistinto dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile” e “concerne l’argomentazione propriamente detta del discorso” (12). Però si ricorre parimenti al pathos, l’elemento persuasivo di carattere affettivo con cui l’emittente tende a suscitare stati d’animo nel ricevente per coinvolgerlo maggiormente. “Per creare l’emozione – hanno osservato gli autori del Trattato dell’argomentazione – è indispensabile la specificazione, poiché le nozioni generali, gli schemi astratti non agiscono sull’immaginazione” (13). Nella fattispecie l’ex segretario del PD indugia su particolari momenti, indicativi della sofferenza del proprio genitore e così vuole muovere la compassione.

Ecco come, in una precedente occasione (una polemica con l’attore comico fondatore del Movimento 5 Stelle), aveva espresso il sentimento di amore filiale: “Mio padre è un uomo di 65 anni […] È un uomo vulcanico, pieno di vita e di idee (anche troppe talvolta). Per me però è semplicemente mio padre, mio babbo. Mi ha tolto le rotelline dalla bicicletta, mi ha iscritto agli scout, mi ha accompagnato trepidante a fare l’arbitro di calcio, mi ha educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini, mi ha riportato a casa qualche sabato sera dalla città, mi ha insegnato l’amore per i cinque pastori tedeschi che abbiamo avuto, mi ha abbracciato quando con Agnese gli abbiamo detto che sarebbe stato di nuovo nonno, mi ha pianto sulla spalla quando insieme abbiamo accompagnato le ultime ore di vita di nonno Adone, mi ha invitato a restare fedele ai miei ideali quando la vita mi ha chiamato a responsabilità pubbliche” (14).

Qualcuno di questi ricordi sembra riecheggiare, certo del tutto casualmente, alcune parti di una vecchia pubblicità, ideata per una marca di whisky in forma di lettera di ringraziamento (“A papà”): “Perché una bici Rudge rossa una volta fece di me il bambino più felice del quartiere”, “Per tutti i sabati mattina persi a guardare un ragazzotto che giocava a rugby”, “Perché ancora mi abbracci quando ci vediamo”, “Perché hai fatto sentire mia moglie come una di famiglia” (15).

Matteo Renzi e la sua compagna di partito avrebbero potuto, come si suole dire, “rendere pan per focaccia”, sulla base della “regola di giustizia”. Essa, per citare ancora Perelman e Olbrechts-Tyteca, “esige l’applicazione di un identico trattamento ad esseri o situazioni integrati in una stessa categoria” (16). Invece hanno manifestato con chiarezza l’intenzione opposta, affermando rispettivamente:

“Non dobbiamo ripagarli con la stessa moneta”

“Caro signor Di Maio, le auguro di non vivere mai quello che suo figlio e gli amici di suo figlio hanno fatto vivere a mio padre e alla mia famiglia” e “Le auguro di dormire sonni tranquilli, di non sapere mai che cos’è il sentimento di odio che è stato scaricato addosso a me ai miei, di non sapere mai che cos’è il fango dell’ingiustizia che ti può essere gettato contro perché, caro signor Di Maio, il fango fa schifo come fa schifo la campagna di fake news su cui il Movimento 5 Stelle ha fondato il proprio consenso”.

Così entrambi sono ricorsi a uno strumento retorico di ordine affettivo, l’ethos, ovvero “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”. Infatti “quali che siano i suoi argomenti logici, essi non hanno alcun potere senza questa fiducia” (17).

Più precisamente hanno trasmesso un’immagine di persone equilibrate, non mosse da spirito vendicativo, anzi dotate di grande forza d’animo. Simili qualità sono utili per godere una buona reputazione e dunque indispensabili per chi svolge l’attività politica. Forse l’unico momento di abbandono si è registrato, quando Boschi ha definito Luigi di Maio “ministro del lavoro nero e della disoccupazione di questo Paese”.

NOTE

(1) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 386.

(2) OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 20.

(3) ALGIRDAS JULIEN GREIMAS, “La sfida”, in Del senso 2. Narrativa, modalità, passioni, Bompiani, 1985, pp. 205-206)

(4) OLIVIER REBOUL, op. cit., p. 193. Sull’argomentazione per mezzo dell’esempio si veda CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., pp. 381-388.

(5) In Facebook.com/matteorenziufficiale, 25 novembre 2018.

(6) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 262.

(7) In Facebook.com/boschimariaelena, 26 novembre 2018.

(8) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 212.

(9) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 193.

(10) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 503.

(11) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 189.

(12) OLIVIER REBOUL, op. cit., pp. 36, 70.

(13) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., Einaudi, 2013, p. 159.

(14) “Caro Beppe Grillo ti scrivo”, in Il blog di Matteo Renzi. Cfr. l’articolo “Strumenti retorici nella risposta di Matteo Renzi ad un attacco di Beppe Grillo”, pubblicato nel nostro sito il 17 maggio 2.

(15) Riportato in GIUSEPPE MAZZA (a cura di), Cose vere scritte bene, Franco Angeli, 2016, p. 113. Il curatore del libro ha commentato: “Questo annuncio Chivas scritto da David Abbott del 1980 dimostra il valore profondo di uno dei suoi adagi: ‘Usate la vita per animare i testi’. Egli, infatti, aveva dovuto abbandonare gli studi per assistere il padre, malato di cancro”.

(16) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 237.

(17) OLIVIER REBOUL, op. cit., pp. 21 e 69.